HILLSIDE POWER TRIO: Blues-Rock che tiene ‘a cazzimma.

La cazzimma è una di quelle parole napoletane che hanno un doppio significato, a volte anche opposto a seconda dei contesti: letteralmente significa tirchieria, ma può essere usata con accezione positiva per descrivere una persona che riesce bene in quel che fa e lo fa con convinzione, con piglio, con una certa grinta.

E’ questo il termine che userei per definire l’Hillside Power Trio in concerto lunedì 18 luglio alla Corte delle Domenicane di Marradi (FI) per il MusArt Festival 2022.

Partiamo, però, con le presentazioni: Hillside è un trio formato da Giuseppe Scarpato alla chitarra e voce, Gennaro Scarpato alla batteria e Marco Polidori al basso.
Tipica formazione di un power trio, nella tradizione della Jimi Hendrix Experience o dei Cream.
E’ proprio alla band con Clapton alla chitarra che viene naturale, di primo acchitto, fare una comparazione, ma c’è molto di più…

Le radici sono saldamento blues rock, ma i pezzi che propongono sono riarrangiati con una naturalezza ed una fluidità tipica da “brani cresciuti sul palco” che vengono fusi con jazz, colonne sonore, musica di frontiera tex-mex, pop, fino ad accenni psichedelici e world music.
Proposte che non hanno il ché di preconfezionato o studiato, non hanno la parvenza di soluzioni stilistiche tipiche di chi vuol fsrsi vedere, ma al contrario trasmettono l’immediatezza e la spontaneità del rock blues delle origini.

E così si passa da Can’t Find My Way Home dei Blind Faith in versione acustica -tanto per scaldare i motori- ad una versione hendrixiana di Jealous Guy di Lennon (i Beatles sono onnipresenti nel repertorio del trio, un tributo costante e di alto livello), per aggiungere After Dark di Tito & Tarantula, mescolando ancora Cream, Muddy Waters, Creedence Clearwater Revival, Depeche Mode, Edoardo Bennato, ancora Beatles con accenni di Take Five di Brubeck e dei Led Zeppelin…

Il segreto della riuscita di questo trio eccezionale, non è solo nell’innegabile talento dei tre (ci arrivo proprio ora), ma anche e soprattutto nell’aver saputo creare un amalgama come band, che non è assolutamente scontato.
Due, a mio parere, i punti fondamentali per un power trio: frequenze e spazi.

Le frequenze sono un aspetto più tecnico e afferisce alla bravura di ogni componente di equalizzare il proprio strumento in modo da occupare un dato spazio nello spettro di banda in modo da non sovrapporsi l’un l’altro: una cassa che va ad occupare le frequenze del basso, già stretto da una chitarra che, per goniare il suono, ha spinto l’ampli sulle basse, è la tipica ricetta per il disastro.

Ma gli spazi, quelli sono fondamentali e dimostrano come l’Hillside Trio dimostri, oltre alla “botta”, anche un ottimo “gusto”: nell’economia di un brano ogni strumento ha il suo ruolo ed il suo spazio. In un trio, volendo fare un discorso tagliato con il machete, la batteria tiene il ritmo, il basso prende il ritmo e ne da armonia, la chitarra crea un’armonia che si appoggia al ritmo.
Ma lo spazio così definito in teoria viene gestito dalla band con un sapiente dosaggio di pieni e vuoti: un bassista che tiene ‘a cazzimma sa quando deve dare corpo, il pugno allo stomaco, generare emozione nel ventre, ma sa anche quando non essere invasivo e creare lo spazio, la tensione, il vuoto. Marco Polidori in questo mi è sembrato un vero Maestro, perché ha costruitol’involucro in cui si è svolta la musica, il suo mondo, l’autostrada su cui Giuseppe ha dato gas alla sua chitarra, dato solidità, ma anche creato sospensione con la sua assenza, dilatazione.

Ancora, la batteria non è (o non dovrebbe) essere solo “pacca”. Intendiamoci, Gennaro Scarpato di pacca ne ha da vendere, perché tiene ‘a cazzimma, ma oltre ad essere un polistrumentista del dettaglio, ha tenuto insieme, diretto, anticipato e andato dietro alle intuizioni del palco (quel momento impagabile, difficilmente descrivibile, in cui l’intesa si crea con l’occhiata, o anche senza, e che disegna sul viso dei musicisti un sorriso a 360 gradi…!).

Infine la chitarra, regina del power trio, imbracciata ed abbracciata da Giuseppe Scarpato: prima voce dal suono caldo ed aggressivo, lirico e anglo-americano.
Scarpato, che tiene ‘a cazzimma, riesce a fare ciò che a molti chitarristi non riesce: gli assoli che non finiscono mai, ma che purtroppo finiscono, perché non annoiano. Non sono mai sfoggio di ginnastica, mai scale al fulmicotone fini a sé stesse, ma mantengono sempre, sempre, sempre, il carattere melodico e musicale degno di un cantato.
E se nel suonare la chitarra può ricordare Clapton, Hendrix, Gales, con un pizzico di Knopler, il suo cantato in più di un’occasione mi ha ricordato Jeff Healey.

Il divertimento che sono riusciti a trasmettere dal palco al pubblico è stato genuino: simpatico in modo molto spontaneo senza scadere nel cialtrone, né nel troppo simpatico da essere finto. Le emozioni che hanno instillato sono state salutate a fine serata con un lungo applauso ed una meritatissima standing ovation.

Ed ora, per l’angolino nerd: Scarpato ha usato una acustica Gibson J45 ed una Gibson Les Paul Gold Top ’57 reissue, una serie di fantastici pedali Dophix costruiti a Firenze (sono pedali silenziosissimi con un suono strepitoso!) e amplificatore Mezzabarba.

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